martedì 20 ottobre 2009

RITORNO ALLA CITTA’: UNA SFIDA CULTURALE E DEMOCRATICA

di Pietro Pagliardini

Recentemente è  stato pubblicato sul sito Il Covile del fiorentino Stefano Borselli un bel lavoro svolto da studenti americani della Notre Dame University, sotto la guida del prof. Ettore Maria Mazzola, per la riqualificazione dei moderni quartieri di Nocera Umbra, dal significativo titolo “Araba Fenice”.

Questo progetto ha a che fare con il tema del convegno perché è un esempio di “ritorno alla città”, di rinascita del disegno urbano e dell’unità tra architettura e urbanistica dalle ceneri dell’urbanistica moderna e contemporanea, ma pone però un problema parallelo a quello strettamente disciplinare e cioè la relazione tra la disciplina urbanistica e l’elefantiaco apparato legislativo e normativo esistente, che rappresenta a mio avviso un problema non solo urbanistico ma del nostro sistema democartico, perché se è vero che la presenza di regole è non solo inevitabile ma necessaria alla democrazia è anche vero che troppe regole rischiano di soffocarla e fare rimpiangere sistemi più decisionisti. In sostanza qualunque “ritorno alla città” è impedito, o fortemente ostacolato,  dall’apparato normativo vigente.Io credo che, per quante responsabilità vi siano nella cultura di sinistra di questo paese e di questa regione in particolare, e ve ne sono di enormi, per quanto sia impossibile non constatare l’accanimento normativo finalizzato al controllo sociale da parte della politica e della burocrazia sui cittadini e sulle imprese, per fini non proprio virtuosi, tuttavia quello del rapporto tra regole e libertà, tra metodo e merito, tra procedure e sostanza delle cose, in qualunque settore, sia un problema e un nodo da sciogliere del sistema democratico con cui tutti o quasi gli stati occidentali si trovano a fare i conti.L’eccesso di regole spersonalizza, tende a rendere astratta la realtà, distrugge i rapporti umani e, prima di tutto, deresponsabilizza sia il cittadino che lo stato.
Il ritorno alla città, per non restare un libro dei sogni, passa dunque per una revisione disciplinare e una politica.Io intravedo tre possibili strategie:
  La prima è più prettamente disciplinare, con un ritorno all’urbanistica delle nostre città storiche dove la strada torni ad essere l’elemento generatore del tessuto urbano; una città unitraia che sia in continuità e non in opposizione al centro storico; una città costituita da isolati i quali sono generati da una rete di strade gerarchizzate, ed eventualmente tematizzate, come auspicato da Marco Romano; una città in cui la piazza nasca come risultato di una trama viaria specifica, sia una nodalità urbanistica e informativa e non scaturisca d’incanto dalla mente di un amministratore o di un architetto. Una piazza “non si fa” ma nasce o da un processo storico o da un progetto complesso. Forte è l’analogia concettuale tra la piazza e l’hub della rete internet e, come la rete, la città deve garantire il massimo dei collegamenti fra le parti ma deve favorire certi flussi più significativi mediante le nodalità più forti: le piazze, appunto, o hub. La città deve essere cioè allo stesso tempo democratica e gerarchizzata, come la rete. Continuità e permeabilità devono essere le proprietà caratterizzanti la città in totale opposizione con l’urbanistica del Movimento Moderno che è invece cosciente e sciagurata discontinuità.
 
Ma non sarà possibile attuare questa condizione senza una modifica sostanziale e una riduzione drastica delle norme urbanistiche che dovranno essere finalizzate al raggiungimento dell’unità della città, abbandonando la parcellizzazione in zone distinte geograficamente e funzionalmente. Una inversione di rotta di 180° rispetto alla zonizzazione in aree funzionalmente distinte che ancora detta legge nella stragrande maggioranza dei PRG e che anzi, specialmente nella nostra regione, ha ridotto l’urbanistica ad un metodo che lavora per sottrazione da ciò che resta dei vari vincoli che ogni professionalità pone sul territorio in base alla sua specifica competenza, per cui il piano è ciò che resta di quel poco che non è soggetto a vincoli e tutele e a cui si dà una specie di forma facendo ricorso all’uso del computer. Un’operazione puramente topologica e di elaborazione di una base dati senza nessuna relazione con la realtà. Un’operazione che potrebbe essere fatta, e che spesso è fatta, da un informatico più che da un urbanista. Questo metodo sottintende una visione negativa della città che è considerata un corpo estraneo e dannoso per un idealizzato ambiente naturale. Lo stesso linguaggio dell’urbanistica toscana, e non solo, è una lingua astratta, incomunicabile, incomprensibile e credo volutamente escludente. Se mi sbagliassi vuol dire allora che è un linguaggio semplicemente ignorante, nel  senso letterale del termine. E’ assolutamente necessario un cambiamento radicale perché l’urbanistica cattiva scaccia l’urbanistica buona.
 
 La terza condizione è  decisiva per ridare dignità ai cittadini e alla disciplina urbanistica stessa: rimettere le decisioni più importanti per la città nelle mani dei cittadini coinvolgendoli non tanto nella fase preliminare, che è demagogica e si presta alla manipolazione da parte dei vari soggetti politici e tecnici, quanto nella fase decisoria attraverso referendum mirati sui più importanti progetti urbani, sia nella fase dei concorsi che in quella della approvazione dei piani. Basta con i progetti approvati solo dagli esperti, che troppo esperti non devono essere se le nostre città versano nello stato che tutti sappiamo. Basta con l’imposizione dall’alto ai cittadini di progetti assurdi che essi non capiscono e che devono però subire. Se si ritiene che quei progetti siano giusti non si avrà timore a rimettere la scelta a chi dovrà frequentarli e viverli quotidianamente. Se c’è un modo per cercare di tornare alla città è quello di far decidere ai cittadini.  Anche se questi scegliessero progetti assurdi, del che io tuttavia dubito, sarà comunque la scelta giusta perché a loro appartiene la città visto che tutti riconosciamo il valore civile dell’architettura. La civitas torni a decidere i destini dell’urbs: una democrazia lo può e lo deve fare.


L'immagine di apertura è quella di un lavoro condotto dalla Notre Dame University, sotto la guida del prof. Ettore Maria Mazzola per per la riqualificazione di Nocera Umbra, l'immagine seguente è quella di uno dei tanti piani strutturali delle nostre città.


mercoledì 14 ottobre 2009

Una strategia di intervento per punti

La riqualificazione dello spazio pubblico del quartiere d’Oltrarno a Firenze attraverso i microprogetti del Pedibus (1)

di Elisa Palazzo

«Lasciamo viaggiare l’immaginazione. Immaginiamo Firenze tra 15 anni. Il problema del traffico è stato risolto una volta per tutte. Il Tram e gli autobus elettrici si sono espansi numerosi. I trasporti pubblici ignorano il tracciato tradizionale della Firenze intra-muros. In questo vasto insieme, gli itinerari trasversali, sempre più numerosi, permettono di collegare un punto ad un altro nel modo più diretto possibile, attraverso una rete fitta di autobussini elettrici. Tra le cinque e le otto del mattino, svolgono il loro lavoro i mezzi addetti alle consegne. Naturalmente i mezzi di emergenza sono autorizzati a circolare. Una serie di parcheggi scambiatori circondano la città in corrispondenza dei principali nodi intermodali. Vietata la circolazione delle automobili all’interno della città storica, l’insieme degli spazi per circolare, sostare, socializzare si è allargato in maniera notevole grazie alla soppressione dei parcheggi. I mezzi esclusi da questo divieto, tram, autobus e taxi si possono spostare velocemente e senza difficoltà sulle corsie preferenziali, per il resto la strada appartiene ai ciclisti, e ai pedoni i marciapiedi.» (2)

È stato organizzato un sistema tipo bicing come a Barcellona o vélib’ (vélos en libre-service) a Parigi: si trovano biciclette da prendere in affitto in tutte le stazioni e fermate di mezzi pubblici e nelle piazze, biciclette che si utilizzano per circolare anche per pochi isolati e che si possono lasciare nella più vicina rastrelliera.

Naturalmente è stato introdotto il servizio del Pedibus, ormai correntemente in uso in tutte le città europee, un accompagnamento collettivo a scuola con un “autobus pedonale”.

Il Pedibus, ispirato agli Human Powered Transports (sistemi di trasporto a potenziale umano), è organizzato come un vero e proprio autobus con un capolinea, un percorso fisso, orari e fermate intermedie.

La rete del Pedibus permette ai genitori di mandare i propri figli a scuola in tutta sicurezza a piedi, con ovvi vantaggi anche per la salute dei bambini.


Torniamo nel 2009. In realtà, almeno per la seconda parte, quella del Pedibus, questo è un progetto che la città di Firenze ha già visto, un’esperienza avviata negli scorsi anni nel quartiere Oltrarno. 

Il progetto che presentiamo, premiato in un concorso nel 2003 e solo in parte realizzato, definisce una strategia di intervento e di linee guida per la realizzazione della sicurezza pedonale e la riqualificazione dello spazio pubblico.

L’Oltrarno a Firenze è un’area ideale per la sperimentazione di un progetto pilota sia per il contesto sociale sia per una serie di caratteristiche intrinseche che ne fanno una delle aree più problematiche della città.

La situazione morfologica è complessa e variata: il contesto storico tutelato, la Zona a Traffico Limitato, le aree pedonali convivono con strade congestionate dalle automobili. La grave difficoltà nell'uso pedonale dello spazio urbano ha reso necessario l’elaborazione di una strategia complessiva di interventi a beneficio di tutto il quartiere a partire da uno studio approfondito dei luoghi e delle problematiche in grado di sistematizzarne le soluzioni.

Da subito è stata evidente la necessità di un progetto per rivendicare lo spazio fisico della città all’uso degli abitanti. L’idea del Pedibus ha fornito questa occasione.

Il primo problema da risolvere è stato quello di definire gli itinerari e le linee di percorrenza per collegare le tre scuole principali del quartiere. Attraverso alcuni incontri con i genitori e con gli insegnanti delle scuole ed il lavoro svolto in classe con i bambini sono stati raccolti i dati essenziali necessari: la provenienza di tutti gli alunni, le modalità di trasporto utilizzate nel percorso casa-scuola, l’individuazione e la messa a punto dei tracciati ottimali.

In occasione dei laboratori in classe è stato anche chiesto agli alunni delle elementari di immaginare la strada davanti alla loro scuola senza automobili e di proporre un suo possibile uso alternativo. Il risultato è un disegno lungo 25 metri che raccoglie i desideri dei bambini.

Il progetto degli itinerari è stato, poi, rapportato alle necessità fisiologiche e psicologiche dei bambini ripensando gli spazi e i tempi sulla base delle loro forze, più esigue di quelle di un adulto, e rimisurando la città secondo una griglia "un minuto a passo di bambino", lo spazio che può percorrere un bambino con le proprie forze in un minuto di tempo.

In tutto il centro di Firenze è già in vigore una Zona a Traffico Limitato in cui la velocità massima consentita è di 30 Km orari. La sua istituzione, purtroppo, non garantisce che tale limite venga rispettato. Il progetto ha proposto un intervento di arredo urbano e messa in sicurezza dei percorsi pedonali che non altera la situazione viaria esistente ma si fonda, al contrario, sulle risorse già presenti nel quartiere, sulla normativa in vigore, sulla segnaletica, i parcheggi e le limitazioni al traffico esistenti, affiancando ai divieti ed ai limiti di velocità una serie di strutture finalizzate al loro rispetto (cuscini berlinesi, chicanes, allargamento dei marciapiedi, riprogettazione dei passaggi pedonali, ecc.) ed al ri-disegno accurato dello spazio collettivo.

Gli scarsi finanziamenti disponibili per gli interventi di pedonalizzazione e la necessità di dilazionare il progetto nel tempo ha suggerito di ripensare le modalità usuali di realizzazione dei progetti pubblici. Gli interventi strutturali lungo il tracciato del “Pedibus” sono stati pensati per essere completati progressivamente secondo le disponibilità e le opportunità del momento. Sono state proposte “unità minime di intervento”, una serie di interventi per punti con un impatto economico estremamente limitato, che possono essere scomposte e ricomposte con una formula combinatoria, adattabile a secondo delle priorità data ai singoli interventi ed alle risorse economiche disponibili. Si tratta in definitiva di un “Piano” di insieme su cui sono collocati micro “progetti” da realizzare in successione.

Tale strategia permette una ricerca di sovvenzioni e finanziamenti attraverso sponsors privati o accordi di programma con la partecipazione di diversi settori pubblici. Questa suddivisione si presta a dilazionare gli interventi nel tempo per piccoli o piccolissimi stralci con una possibilità maggiore di sedimentare i nuovi assetti spaziali proposti nell’immaginario collettivo dei cittadini.


La prima unità minima (ed unica) ad essere stata realizzata è quella di fronte alla Scuola Torrigiani in via della Chiesa. L’obiettivo del progetto è stato quello di consentire un sicuro e facile accesso e di valorizzare lo spazio pedonale e stradale in funzione delle esigenze dei bambini.

La sede stradale in corrispondenza del fronte della scuola è stato ridotto a 2,75 m, una larghezza che consente il passaggio agevole di auto, furgoni e mezzi di soccorso a velocità moderata ed un ampliamento considerevole dello spazio pedonale per una lunghezza di circa 40 m.

Il nuovo spazio pedonale è costituito da una piattaforma di 4 m di larghezza, sopraelevata sul livello della strada.

è stato previsto un unico tipo di finitura per l’intera superficie: un lastrico di pietra arenaria messo in opera “alla rinfusa”, come nella tradizione delle antiche strade di Firenze che si differenzia dal resto della pavimentazione esistente. Le parti di testa del marciapiede sono realizzate ugualmente con elementi alla rinfusa di adeguato spessore. La pavimentazione di lastrico in arenaria è stato in gran parte mantenuta perché la nuova piattaforma pedonale è sovrapposta alla pavimentazione in pietra esistente limitando allo stretto necessario le demolizioni e gli smontaggi.

Il grande marciapiede contiene due inserti in pietra levigata con elementi perfettamente lisci e regolari, idonei ad essere utilizzati come lavagne orizzontali su cui i bambini possono disegnare con i gessetti colorati.

Sulla piattaforma sono state posizionate delle sedute realizzate da blocchi modulari in pietra del tipo “macigno di Greve”.


Due rampe a lievissima pendenza consentono un accesso privo di barriere architettoniche. Le rampe sono pavimentate con asfalto colorato e sono illuminate con un sistema di segnapassi a Led con pannello solare incorporato.

Le rampe sono protette da un basso muretto in pietra realizzato con conci di pietra arenaria squadrati che, oltre a fungere da elemento per la sicurezza e l’accessibilità ai sensi della normativa vigente, dispongono a est di una rastrelliera per biciclette e a ovest di una fontanella pubblica.

Ad ovest della scuola, in corrispondenza dell’uscita di sicurezza dell’Albergo Popolare, è realizzato un attraversamento pedonale rialzato che consente di raggiungere il lato opposto della strada in sicurezza e senza barriere architettoniche e funge da dissuasore di velocità, dove si trova uno spazio pedonale dotato di posti per biciclette, una Magnolia Soulangeana e una siepe di Rhyncospermum Jasminoide che ricopre la scala di emergenza dell’Albergo.

Per mezzo di questo intervento lo spazio stradale davanti alla scuola ha riguadagnato una dimensione sociale che sino ad ieri non gli apparteneva.

In definitiva, il progetto che abbiamo presentato è, allo stesso tempo, un piano di recupero del quartiere, un progetto di rinnovo dello spazio pubblico nella città storica, un percorso partecipativo con la cittadinanza e di riappropriazione dei luoghi della socialità (la strada), un piano economico di fattibilità, che concorrono tutti alla proposta di M. Augè di «far tornare la città terra di avventura» per i grandi ed i piccoli.



 NOTE:

(1) Il progetto di concorso, elaborato in occasione del Concorso di idee per la realizzazione di percorsi pedonali sicuri casa-scuola nel 2003, la progettazione esecutiva e la direzione lavori (2006-2009) sono di studiostudio, con la promozione degli assessorati all’istruzione e alla mobilità del Comune di Firenze.

Visitando la pagina web http://sites.google.com/site/pedibusfirenze/ si possono consultare le google maps del progetto.

(2) La citazione è stata liberamente rielaborata dall’autrice sulla base di un testo di Marc Augé: Augé M. (2009), Il bello della bicicletta, Torino, p.47.

 Le immagini sono di Studiostudio

 

 

 

 






martedì 6 ottobre 2009

Riflessioni sul ritorno alla città

di Maria Luisa Ugolotti

Nell’approccio al tema Ritorno alla  città, permettetemi una breve riflessione, alcuni spunti di lavoro, alcune premesse:

1) la città

La città o secondo una vecchia dizione, l’arte di costruire la città, esiste da tempi immemorabili.

Da sempre la città è stata espressione di vita sociale, di una volontà imprescindibile, che tuttavia non poteva essere assimilata o limitata a uno dei canonici bisogni umani, come il nutrirsi quotidiano, il lavorare, l’avere figli, lo svagarsi, il conservarsi in forze.

La città in cui viviamo ne è evidente segno.




Ambrogio Lorenzetti, Effetti del Buon Governo, Siena, 1337-1340

La disarmante  bellezza e armonia, l’unicità, la “genialità”  fiorentina costituiscono per l’intera umanità un  punto di paragone unico e con un’espressione a me cara, si mostrano come una scintilla di infinito.

2) l’urbanistica

L’urbanistica non è semplicemente l’arte di costruire la città, e non è dunque un oggetto che si possa fare o guardare come un quadro o una scultura, ma è piuttosto la mediazione concreta tra atti e aspirazioni diverse, anche opposte e la sua dimensione naturale non esiste.

 

3) gestione della città e urbanisticaStoricamente, in certe particolari condizioni, dovute sempre a tempo e a luogo, la gestione della città ha generato un’urbanistica, allorquando si è trovata a contatto diretto con fenomeni  forti quali il colera, la miseria, una distribuzione ingiusta delle ricchezze, una ribellione endemica, la morale, il desiderio di giustizia, lo spirito di solidarietà e una razionalità intelligente.

 André Boll associato all’Ascoral nel 1942, è indotto a denunciare  (e questo per sostenere le sue idee simili a quelle di Le Corbusier  e ditanti altri) che a  Parigi su quattromilioni e mezzo di locali, due milioni non ricevono mai la luce solare. Così che l’esistenza della famiglia stessa, cellula fondamentale di ogni società è minacciata. La degenerazione rapida del cittadino e le sue turbe mentali, sono il loro punto di partenza nella vita che conduce alla città.

Nel quadro di allora, il bilancio “salute della città” è deficitario in ogni sua voce e nel suo principio essenziale, l’aria e al luce …. le statistiche  informavano che in Francia si moriva di tubercolosi ogni 5 minuti: 100.000 morti l’anno.

Aria e luce dunque, ma anche la “gioia di vivere” come l’allora  nuova classe intellettuale denunciava…. Questi propositi potranno sembrare poco “scientifici”, ma  pertanto sono queste nozioni di aria e luce che hanno introdotto nell’architettura e nell’urbanistica, lo spirito e la tecnica moderna che abbiamo sino ad ora conservato.

Sono queste nozioni che a loro volta, determinano un nuovo assetto urbano.

 Ma come tutti gli assetti urbani è fatale che alla lunga il suo spirito subisca una mutazione.

In altri termini il rapporto tra i bisogni sociali  si proietta direttamente sulla città, usando un nuovo strumento: è l’urbanistica, un sistema che in definitiva si sostituisce all’arte di costruire la città, anche se molti urbanisti moderni considerano ancora l’urbanistica come uno strumento da applicare per cambiare la città!


 





Le Corbusier, Ilôt insalubre n. 6, 1937

4)  qual è il criterio?

Il concetto stesso di criterio implica una scelta che introduce una azione dinamica della  stessa analisi. e in questo senso si può affermare che l’analisi contiene spesso un embrione di progetto.

Ora quali sono le emergenze da mettere a tema? Qual è  dunque oggi la nuova urgenza?

La composizione sociale di questa città, rispetto alla città materializzata nel centro storico si presenta nuova, l’epoca è cambiata.

Alla produzione di beni materiali, questa città ha sostituito la produzione di beni immateriali: il possesso e l’uso dell’informazione, la ricerca scientifica, l’impresa culturale e la creatività sotto tutte le sue forme.

Il punto forte appare proprio questo  complesso patrimonio culturale, dunque scientifico e tecnologico e dunque umano!

5) E allora quale futuro per la città di Firenze? con quali  risorse?

Non occorre dilungarsi molto perché sono sotto gli occhi di tutti le contraddizioni di questa città.

Il centro storico, patrimonio unico e immenso, grande e vera  risorsa per tutta la provincia,  è ormai snaturato nel suo essere e impoverito da servizi di bassa qualità, ... così che il cittadino abbandona il palazzo di via dei Servi, abbandona il centro e impoverisce oltremodo le sue relazioni urbane e sociali.

E’ necessario puntualizzare però che il fenomeno dell’emigrazione dal centro storico verso le periferie, si presenta sotto un doppio aspetto. Da una parte questo fenomeno si produce spontaneamente (in occidente) a partire dal 1945 per gli Usa, - d’altra parte - è il risultato della gestione stessa della città e dunque di un complesso sistema politico di espulsione (dal centro verso la periferia) che da molto tempo caratterizza la politica internazionale.

Metodologicamente e per pensare ad un contributo di costruzione per la nostra città, ritengo necessario avanzare una proiezione dello stato attuale per un tempo futuribile e generazionale di 30 anni, così che dallo scenario si possano desumere le priorità  e nel contraccolpo ipotizzare  una costruzione.-  

La metodologia, - benché non suffragata da dati medici o statistici,  - come ho potuto ricordare pocanzi per il caso francese, ma tali dati ed osservazioni sono evidenti, è la stessa di cui ai progetti di André Boll e di Le Corbusier -….

Procedendo quindi con un certo realismo senza dover aggiungere troppa fantasia potremmo immaginare una città il cui centro urbano, potrebbe essere ridotto a parco museale, con servizi ad esclusiva  ricezione turistica, mentre i quartieri storici sempre in maggior degrado, abitati quasi esclusivamente dai nuovi immigrati, poiché i cittadini avranno preferito residenze più comode e facilmente accessibili, nonché in prossimità di servizi qualificati.

Sempre a trent’anni, osserveremmo nuclei di aggregazione urbana  periferici,  talora degradati, senza centri e luoghi per incontro, poiché in queste aggregazioni extraurbane si  è concentrata solo edilizia popolare, che nella pianificazione è rimasta un fatto a se stante,  senza servizi puntuali e vitali.

L’attuale sistema viario irrisolto e caotico ora, tra trenta anni non potrà che suggellare lo stato di fatto: un centro per turisti e immigrati senza auto, una periferia spoglia, con grandi centri commerciali e corrosa dalle auto, su strade insufficienti con grandi strizioni poiché  appaltate e gestite da enti diversi, talora in disaccordo.

Il merito alle  reti infrastrutturali nel centro storico potremmo assistere poi alla tracimazione dei servizi fognari e di smaltimento (che sono dimensionati a Firenze capitale) e quindi al definitivo degrado di alcuni quartieri anche in termini di igiene e salubrità.

Dallo scenario evidenziato sorge inevitabile la domanda: sono disponibili  mezzi ed energie per intraprendere nuovi interventi di riqualificazione una diversa  ipotesi urbana?

Il tessuto urbano è saturo, ma forse è proprio da lì che si deve ripartire, rilanciare, riprendere la propria identità urbana, per passare poi a risolvere questioni infrastrutturali nevralgiche, dalla tranvia, all’aeroporto, ad una nuova viabilità.

Ri-innescare il desiderio di costruzione di un bene per sé, e quindi per la città.

Proviamo a pensare al governo della città non solo in termini di risposta a diritti e in termini di servizi, ma interroghiamoci sul  senso del servizio stesso.

Ricominciano a pensare all’individuo, come cuore della città.

Riflettiamo a questo proposito per esempio sul modo con cui si continua a ragionare in termini di casa popolare, così riusciamo a spiegare il perché delle nuove periferie.

Mi piace ritornare  all’esperienza di Fedric Le Play,  a la Méthode 

Sociale, del 1878, poiché pochi sociologici hanno avuto tale limpidezza di giudizio-

Nella sua opera alcune ipotesi, modelli sociali, modelli di sviluppo urbano, espressi poi in progetti urbani.

Riprendo un passaggio:

“Tutte le società prospere, - usa il termine prospero alludendo proprio a società felice ed economicamente sviluppata -mostrano un carattere primordiale inseparabile dalla natura umana: gli individui vi sono raggruppati in “unità sociali”, cioè per famiglia. Da sempre esistono nel seno di società prospere, un gruppo di elementi costitutivi che si possono dire essenziali. Sono questi che procurano agli uomini la felicità, cioè il fine comune dei loro desideri.

La costituzione essenziale, il nucleo centrale  è indicato con evidenza nello studio della storia come nell’osservazione dei popoli contemporanei. -

…. per continuare sino all’Assioma: la vita privata imprime il suo carattere alla vita pubblica, la famiglia è il principio dello stato!

 

Pierre-Guillaume-Frédéric Le Play

Rimettere al centro della città un soggetto, il nucleo familiare, la possibilità di formare famiglia,  di poter abitare la città, di far crescere e educare i figli alla pienezza e al bello di cui la nostra storia è testimone, questo appare come prioritario!

Così la questione dell’abitare si pone come questione centrale e nevralgica per rivivere il centro storico.

Torniamo a riprenderci il centro storico, torniamo a viverci. La dislocazione di università o altri servizi funzionali fuori dal contesto urbano, benché scelta orami obbligata per migliorare la qualità del  servizio stesso, impoverisce il tessuto urbano.

E’ necessario una diversa partecipazione alla città,  non solo in termini di discussione o presentazione progetti, ma nelle stesse modalità sancite dalla nostra costituzione, tra le  quali la sussidiarietà!!

E gli strumenti legislativi in questa direzione, non sto a dilungarmi,  ci sono vedi per esempio il ruolo potenziale della figura del promotore all’interno del nuovo Codice dei lavori pubblici ( L.163/2006), nonché la previsione del dialogo competitivo, etc etc.

La novità non è prodotta da un meccanismo pubblico!, può soltanto essere incentivata, aiutata!

Laddove non c’è questa priorità del sociale allora inevitabilmente il settore pubblico tende a riprendere spazio e forse ad andare anche oltre il consentito, ma in un disegno non sempre urbano, ma di pura amministrazione.

6) Ritorno alla città

Per concludere il primo fattore che consente al territorio di avere una forma, di materializzarsi in un disegno urbano  è  il soggetto che lo vive.

Quindi è questo il primo punto che deve essere il centro della preoccupazione per una istituzione pubblica che voglia incentivare una costruzione nuova.

E’ a partire da questo che l’architettura potrà trovare nuovi legami espressivi e dunque formali e non di pretesi rapporti storici.

Nuove referenze culturali impongono scelte diverse, relative al diritto della qualità della vita ed all’esistenza propria di ciascun individuo.

Credo che questa sia la possibilità di un ritorno alla città!

mercoledì 30 settembre 2009

Alle radici dell'ordine della città europea

di Gianfranco Potestà

“L’avvenire del ‘nuovo’ è assicurato nella misura in cui esso attinge con metodi eterni da eterne fonti. Si crea, si  trova il nuovo solo sul piano dell’eternità”

( Henry va de Velde   1863 – 1957)

Premetto tre brevi citazioni propedeutiche che interessano l’argomento qui trattato che è relativo alla struttura dell’urbs. Le prime due sono del prof. Marco Romano, la terza è l’esergo della relazione che segue.

…… abbiamo perso il sentimento della nostra identità ……

…… prima della condizione tecnica c’è la condizione simbolica nel nostro tipo di società come di città, aperta, mobile e democratica …


Vorrei  a esprimere alcune mie riflessioni sul tema “città” che cercano di individuare e qualificare quelle radici dell’ordine della città europea che nella contemporaneità si sono forse perse o dimenticate o nascoste o rimosse. Assistiamo a pianti e lamenti da parte di intellettuali ed urbanologi sensibili e di personaggi della cultura per la perdita di qualità, di sacralità, di relazioni nella struttura fisica della città, a sconcerto di fronte a scempi o ad altre perdite, a desolazione davanti all’impotenza della cultura e all’incultura o sottocultura del potere incapaci di arginare il degrado e di recuperare principii, temi,consapevolezze e strumenti per una cultura ed una prassi per trovare unaqualità urbana perl’esserci da uomini e donne contemporanei nell’ urbs del nostrotempo. Mi domando : siamo in grado oggi, in quello che alcuni scrittori chiamano il tempo del capitalismo tecno-nichilista e della libertà immaginaria, nel fatto urbano, di vedere? di pensare? Magari di operare nella logica della gratuità? Come e dove cercare un approdo? Dobbiamo scuotere dai nostri sandali e dalla nostra mente la polvere accumulata nelle nostre città e riandare alle radici dell’ordine della città europea per  riscoprire una idea di urbs secondo una icona urbana strutturata secondo principii di sostenibilità, di sussidiarietà, di eco-compatibilità all’interno degli insediamenti-agglomerati urbani contemporanei.  

Disegno di "ordine" organico della "Radice" recinto consacrato per la Basilica di San Lorenzo a Firenze

La città ( per intenderci quellamorfologia fisica fatta di ‘struttura’ e di ‘storia’ a cui può essere idoneamente attribuita la parola città come icona di cellula urbana o di più cellule urbane linkate in una rete a invarianza di scala ) la città, dico, è fatta in una precisa maniera, anche se appare in molteplici varianti, altrimenti ne consegue il degrado fisico e sociale.  

E per quanto attiene al suo assetto e alla politica che lo genera, incompetenza ed infamità contribuiscono a generarne il degrado.  La città è una sintesi di struttura e di storia, e mentre la struttura tiene nel tempo, è pressochè costante, la storia invece è mutante ed è soggetta a mode e a modi.  Già qui ed ora possiamo porre dei picchetti per definire dei territori ove impostare la traccia di radici strutturali costanti, anche dove predomini lo spappolamento, la divisione, l’affastellamento, il sottosviluppo.  Va tenuto però anche conto che, oltre alla presenza di mani empie sulla città giusta che tentano di soffocarne gli aneliti di sviluppo, si cerca di travalicare le regole con norme improprie e con la deregolamentazioneche ceano caos, anarchia e appropriazioni indebite.  Considerando peraltro che l’anima è anarchica ( psychè = farfalla) e come tale può divenire anche fonte di mali radicali o metafisici, appare opportuno e doveroso ritornare a quelle radici dell’ordine della città europea.

Disegno di ordine "organico" per il sagrato sepolcreto "radice" della Basilica si San Lorenzo a Firenze

L’albero senza la radice non potrebbe vivere come albero.  La città senza radice non potrebbe vivere come città.  Alle radici dell’ordine della città europea c’è la radice di città, così come deve essere.  Radice di città è il recinto consacrato ove insistono : chiesamatrice-catecumenion-camposanto, e il camposanto risulta radice di radice di città.  Così è stato, così è, così sarà.  Troppo integralista o fondamentalista?  O è necessario riscoprire e risalire o scendere alle radici per riattualizzarle?  “ A livella “: come recita Totò nella sua poesia, l’unica cosa democratica, che ci lega alla terra come terra.  Mi domando: quale stretto rapporto tra vita-morte-città-chiesa come mistero-popolo-struttura?  

Questo scritto tende a un tentativo di ricomposizione ad unità di tre elementi smembrati e dispersi di cui dirò appresso e ad una riaffermazione della permanenza, nella dimensione dello spirito, della persona e della comunità.  Altrimenti non vi può essere riconoscibilità nell’urbs, cioè nella struttura urbana, della comunicazione dell’insieme dei misteri cristiani, fra cui gli escatologici. I tre elementi smembrati e dispersi sono : chiesa-matrice, catecumenion, camposanto, luoghi che invece dovrebbero manifestare la continuità e la contiguità del percorso di vita nella sequenza : “ progetto-nascita-comunione nella esistenza-morte-vitaeterna “ attraverso i momenti del percorso terreno “ dal battesimo alla comunione nel trinomio parola-liturgia-comunità alla sepoltura “        La chiesa-edificio non è una monade ma è un insieme di segni significativi come sopradetto, un insieme anche come segno visibile e percepibile, dal valore iconico, che all’interno della struttura urbana alberga quella “ comunione dei santi “ di cui al primo degli articoli escatologici del “ credoapostolico “

Disegno di ordine "organico" nella veduta prospettica rinascimentale

La chiesa-matrice è quel luogo ove nel fonte battesimale la comunità genera e gesta figli nella fede in Cristo, li accoglie nel suo seno fin dalla nuova nascita e li introduce alla appartenenza di popolo nella complementarietà del “mistero-popolo-struttura” col potere di rivelare dio all’uomo tanto profondamente quanto quello di rivelare l’uomo a se stesso. Nel catecumenion, la comunità così iniziata, in un cammino di aquisizione di consapevolezza radice di libertà e di vita, mette in grado i fratelli di giungere alla consapevolezza di essere figli nel figlio e figli e fratelli nella madre e amici di dio per gli uomini e di sentirsi amati gratuitamente, ciò che è già qui ed ora vita eterna, e a rispondere alle domande di libertà e di fedeltà individuale e comunitaria durante la vita terrena. Nel  camposanto la comunità permane, nella dimensione dello spirito, in quella  “comunione dei santi” che accomuna, come in vasi comunicanti, vivi e defunti nella vita eterna.  I defunti sono legati, uniti e vicini ai vivi, nella dimensione dello spirito, nell’attesa della resurrezione della carne, del giudizio, e della vita eterna, Se esiste allora una continuità ed una contiguità dei vivi e dei defunti che ci precedono e ci seguono nei legami affettivi è opportuna anche una riunificazione dei tre elementi smembrati della chiesamatrice-catecumenion-camposanto nel segno iconico, in città, del luogo immaginedella “comunione dei santi” che è radice di città, e che rappresenta nel tempo e nello spazio la continuità e la contiguità delle dimensioni della vita e della morte. Ma questo legame tra i tre elementi oggi è problematico, in quanto l’inumazione nel cimitero in città, all’interno della struttura urbana, anche per malintese ragioni igienico-sanitarie, non è più tollerata dalle norme e dalla cultura popolare. In generale l’attuale prassi della sepoltura dei morti, come per esempio l’inumazione in cimiteri fuori città, o come la cremazione ed una successiva dispersione delle ceneri, è prassi poco civile e tantomeno cristiana. In riferimento alle radici dell’ordine della città europea, il camposanto o sagrato-sepolcreto, radice di radice di città, spazio del silenzio e non dell’affastellamento, non è un luogo-altro, avulso, discosto, separato rispetto alla città dei viventi, ma non ne può che essere centrale parte congruente e concidente, insieme a chiesa-matrice e catecumenion. Il cimitero attuale, con la pratica della inumazione fuori città, risulta essere come “non-luogo”, una città aliena alternativa, un altrove, che allontana viventi e cari estinti ( e molte volte è sede di una fiera delle vanità ) e non permette la riconoscibilità della continuità e della contiguità di cui si diceva prima.

Presunto ordine urbano contemporaneo

Si può arrivare oggi, nella struttura della città attuale, ad una riunificazione dei tre segni chiesamatrice-catecumenion-sagratosepolcreto, che possono ritornare a formare, entro le mura, segno iconico di unità visibiledella “comunione dei santi”, solamente con la pratica della cremazione che permette di accogliere e di raccogliere le ceneri dei parrocchiani che scelgono di far cremare le proprie spoglie, nelle urne disposte, all’interno del recinto consacrato, nella città, nel sagrato sepolcreto della chiesamatrice accanto ed in organica unità col catecumenion. Si  verrebbe così a ridefinire questa unità dei tre segni come “ luogo urbano “. Attraverso questa riscoperta e questo riadattamento, Firenze, da città “ non luogo “ può tornare ad essere “ città luogo “ non solo luogo fisico ma anche luogo teologico.

Nel modello della città terrestre e celeste di Gerusalemme, selda e compatta, riconosciamo che: il proto-tipo della forma città pre-esiste come icona di trinità

Resta inteso che nell’approccio alle radici dell’ordine della città europea, questa testè descritta è solo la prima, anche se la più determinante, delle radici. Riguardo alle altre importanti componenti si procederà in seguito a definirle con approfondimenti successivi. Diceva Giorgio La Pira : “ La città è una unità organica che presenta ai suoi membri presenti e futuri tutti gli elementi essenziali per il sereno sviluppo della loro vita : la struttura stessa urbanistica è fatta per una finalità profondamente umana.  Mons. Timothy Verdon nel suo libro “ Il catechismo della carne “parla del Dipinto di Baltimora su “Città ideale” che presenta una situazione di ordine del tutto. Ordine che, per la Rinascita come già per il Medioevo manifestava la pace sociale, a sua volta “frutto” o meglio “opera” della giustizia. (urbs beata, visione di pace). Ma le condizioni e le situazioni dell’oggi sono diverse.  La organicità della cellula urbana e della sua logica comunitaria, come anche descritto su BimestraleSolidarietàCaritasFi n°3-2009 su “risorse della periferia”, al di là dello spappolamento nella contemporaneità, si scontra con le conseguenze prodotte anche da logiche urbanistiche decise “altrove” e incapaci di incidere positivamente, marginalizzando come periferico e come utopia ogni intento di comunità. La cellula urbana non organica tende a divenire spazio di attraversamento e di dispersione rimettendone in gioco il profilo di coesione con nuove discontinuità e forte indebolimento dei suoi confini che fanno migrare la socialità verso i non-luoghi del commercio e dell’evasione. Esiste peraltro un bisogno da parte di ogni urbanologo, che non si lasci trascinare da incompetenza ed infamità di offrire una risposta che sia, oltre a quella di definire, al di là delle contraddizioni, icone di organicità strutturale morfologica, anche quella di facilitare la promozione e la creazione di relazioni che riescano nell’obiettivo di incidere sul processo di progressiva perdita del senso di “custodia sociale” tipico della contemporaneità.       


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