di Pietro Pagliardini
Recentemente è stato pubblicato sul sito Il Covile del fiorentino Stefano Borselli un bel lavoro svolto da studenti americani della Notre Dame University, sotto la guida del prof. Ettore Maria Mazzola, per la riqualificazione dei moderni quartieri di Nocera Umbra, dal significativo titolo “Araba Fenice”.
Questo progetto ha a che fare con il tema del convegno perché è un esempio di “ritorno alla città”, di rinascita del disegno urbano e dell’unità tra architettura e urbanistica dalle ceneri dell’urbanistica moderna e contemporanea, ma pone però un problema parallelo a quello strettamente disciplinare e cioè la relazione tra la disciplina urbanistica e l’elefantiaco apparato legislativo e normativo esistente, che rappresenta a mio avviso un problema non solo urbanistico ma del nostro sistema democartico, perché se è vero che la presenza di regole è non solo inevitabile ma necessaria alla democrazia è anche vero che troppe regole rischiano di soffocarla e fare rimpiangere sistemi più decisionisti. In sostanza qualunque “ritorno alla città” è impedito, o fortemente ostacolato, dall’apparato normativo vigente.Io credo che, per quante responsabilità vi siano nella cultura di sinistra di questo paese e di questa regione in particolare, e ve ne sono di enormi, per quanto sia impossibile non constatare l’accanimento normativo finalizzato al controllo sociale da parte della politica e della burocrazia sui cittadini e sulle imprese, per fini non proprio virtuosi, tuttavia quello del rapporto tra regole e libertà, tra metodo e merito, tra procedure e sostanza delle cose, in qualunque settore, sia un problema e un nodo da sciogliere del sistema democratico con cui tutti o quasi gli stati occidentali si trovano a fare i conti.L’eccesso di regole spersonalizza, tende a rendere astratta la realtà, distrugge i rapporti umani e, prima di tutto, deresponsabilizza sia il cittadino che lo stato.
Il ritorno alla città, per non restare un libro dei sogni, passa dunque per una revisione disciplinare e una politica.Io intravedo tre possibili strategie:
La prima è più prettamente disciplinare, con un ritorno all’urbanistica delle nostre città storiche dove la strada torni ad essere l’elemento generatore del tessuto urbano; una città unitraia che sia in continuità e non in opposizione al centro storico; una città costituita da isolati i quali sono generati da una rete di strade gerarchizzate, ed eventualmente tematizzate, come auspicato da Marco Romano; una città in cui la piazza nasca come risultato di una trama viaria specifica, sia una nodalità urbanistica e informativa e non scaturisca d’incanto dalla mente di un amministratore o di un architetto. Una piazza “non si fa” ma nasce o da un processo storico o da un progetto complesso. Forte è l’analogia concettuale tra la piazza e l’hub della rete internet e, come la rete, la città deve garantire il massimo dei collegamenti fra le parti ma deve favorire certi flussi più significativi mediante le nodalità più forti: le piazze, appunto, o hub. La città deve essere cioè allo stesso tempo democratica e gerarchizzata, come la rete. Continuità e permeabilità devono essere le proprietà caratterizzanti la città in totale opposizione con l’urbanistica del Movimento Moderno che è invece cosciente e sciagurata discontinuità.
Ma non sarà possibile attuare questa condizione senza una modifica sostanziale e una riduzione drastica delle norme urbanistiche che dovranno essere finalizzate al raggiungimento dell’unità della città, abbandonando la parcellizzazione in zone distinte geograficamente e funzionalmente. Una inversione di rotta di 180° rispetto alla zonizzazione in aree funzionalmente distinte che ancora detta legge nella stragrande maggioranza dei PRG e che anzi, specialmente nella nostra regione, ha ridotto l’urbanistica ad un metodo che lavora per sottrazione da ciò che resta dei vari vincoli che ogni professionalità pone sul territorio in base alla sua specifica competenza, per cui il piano è ciò che resta di quel poco che non è soggetto a vincoli e tutele e a cui si dà una specie di forma facendo ricorso all’uso del computer. Un’operazione puramente topologica e di elaborazione di una base dati senza nessuna relazione con la realtà. Un’operazione che potrebbe essere fatta, e che spesso è fatta, da un informatico più che da un urbanista. Questo metodo sottintende una visione negativa della città che è considerata un corpo estraneo e dannoso per un idealizzato ambiente naturale. Lo stesso linguaggio dell’urbanistica toscana, e non solo, è una lingua astratta, incomunicabile, incomprensibile e credo volutamente escludente. Se mi sbagliassi vuol dire allora che è un linguaggio semplicemente ignorante, nel senso letterale del termine. E’ assolutamente necessario un cambiamento radicale perché l’urbanistica cattiva scaccia l’urbanistica buona.
La terza condizione è decisiva per ridare dignità ai cittadini e alla disciplina urbanistica stessa: rimettere le decisioni più importanti per la città nelle mani dei cittadini coinvolgendoli non tanto nella fase preliminare, che è demagogica e si presta alla manipolazione da parte dei vari soggetti politici e tecnici, quanto nella fase decisoria attraverso referendum mirati sui più importanti progetti urbani, sia nella fase dei concorsi che in quella della approvazione dei piani. Basta con i progetti approvati solo dagli esperti, che troppo esperti non devono essere se le nostre città versano nello stato che tutti sappiamo. Basta con l’imposizione dall’alto ai cittadini di progetti assurdi che essi non capiscono e che devono però subire. Se si ritiene che quei progetti siano giusti non si avrà timore a rimettere la scelta a chi dovrà frequentarli e viverli quotidianamente. Se c’è un modo per cercare di tornare alla città è quello di far decidere ai cittadini. Anche se questi scegliessero progetti assurdi, del che io tuttavia dubito, sarà comunque la scelta giusta perché a loro appartiene la città visto che tutti riconosciamo il valore civile dell’architettura. La civitas torni a decidere i destini dell’urbs: una democrazia lo può e lo deve fare.
L'immagine di apertura è quella di un lavoro condotto dalla Notre Dame University, sotto la guida del prof. Ettore Maria Mazzola per per la riqualificazione di Nocera Umbra, l'immagine seguente è quella di uno dei tanti piani strutturali delle nostre città.